Panoramica aerea dei chiostri realizzati dal Bramante, poi intitolati ai Pontefici Benedetto XV e Pio XI, e della Basilica di S. Ambrogio.
«Ho avuto la fortuna in questi anni di lavorare intensamente nell’ultima fabbrica di Bramante a Milano, nel convento cistercense di Sant’Ambrogio sino all’anno scorso occupato da poco più di un secolo dall’ospedale militare, ed ora ritornato a nuova vita come sede dell’Università Cattolica.
Si può immaginare lo stato di sfacelo nel quale si trovava l’edificio, e tutte le superfetazioni e contaminazioni interne. Mi sono occorsi lunghi mesi solo per riconoscere sotto i mascheramenti le primitive forme e la distribuzione interna; ma in compenso non so dire quanto abbia imparato». (G. Muzio, Architetti e architetture in Lombardia, conferenza tenuta a Venezia, 11 settembre 1932 [Archivio Muzio], p. 9)
«L’articolazione e l’aspetto generale dei chiostri, come ci appaiono oggi, suggeriscono una sostanziale fedeltà al progetto originario e quindi meritano la qualifica bramantesca, nonostante i tempi di realizzazione slittati in gran parte alla seconda metà del Cinquecento abbiano comportato in diversi dettagli significativi aggiornamenti e varianti.
A livello di impianto generale il dato più problematico in termini di filologia bramantesca è il raccordo tra i due piani nel senso che la trabeazione che separa i due settori non appoggia su alcun elemento verticale facendo venir meno la definizione dell’ordine maggiore, scelta piuttosto strana in un impianto che sembra curare molto i riferimenti all’ordine classico, dal blocco di trabeazione sui capitelli all’alzato ‘alla romana’ dei prospetti superiori. Dato che gli oculi del vele del colonnato erano previsti già nel 1498, il punto che potrebbe aver disatteso il progetto bramantesco si può forse rintracciare nella soluzione angolare, dove avrebbe avuto un senso inserire un piedritto al posto del tondo che ora vediamo piegare e, soprattutto nel chiostro ionico, contrarsi malamente. D’altra parte lo stesso problema si rileva nell’incisione dell’Aspari che illustra il perduto chiostro bramantesco di Chiaravalle.
Anche per quanto riguarda l’ordine superiore e la sua congruenza con il modello originario non mancano dati problematici, a partire dagli unici due disegni antichi che presentano alzati e prospetti dei chiostri. Quello più completo descrive l’alzato del settore centrale del complesso con la sezione trasversale del corpo di spina e l’attacco dei due lati dei chiostri verso nord, cioè verso l’ingresso (fig. 35). Databile entro i primi decenni del Seicento, questo disegno sembra una copia accademica, una sorta di libera interpretazione derivata dallo studio di altri rilievi piuttosto che da un effettivo riscontro sull’esistente. Il foglio presenta l’ordine ionico per entrambi i chiostri, un dato che ha fatto ritenere che il primo progetto non volesse distinguere l’ordine dei due cortili; molti dettagli del portico sono semplificati o travisati, ad esempio nella mancata fusione delle cornici degli archi. Il piano superiore ha paraste scanalate e finestre che superano in altezza la corda dell’arco, diversamente da quanto realizzato.
La sezione – tagliata alla prima campata del corpo di spina – evidenzia al piano terra un corridoio voltato a botte completamente aperto verso la parete di fondo e comunicante con i portici, tramite porte laterali; al piano superiore si replica la stessa articolazione con volte a botte e lunette nel corridoio centrale e sui vani laterali, rispettivamente illuminati da oculi e finestre; sulla testata si aprono a cielo aperto una serliana e un oculo, come appare ancora oggi, ma nel disegno sembrerebbero aperti su un muro più arretrato, a filo con quello esterno delle ali». (C. De Carli, La trasformazione in sede dell’Università Cattolica, in La fabbrica perfetta e grandiosissima, Vita e Pensiero, Milano 2009, pp. 74 ss.)