di don Daniel Balditarra, assistente pastorale del Collegio
(a cura di S. Javadi)
Riportamo il testo dell’omelia di don Daniel Balditarra durante la messa celebrata al termine della XVII Assemblea dell’Associazione (i cui contributi sono disponibili su questo sito) nella quale è stato ricordato Roberto Ruffilli, studioso delle istituzioni politiche e successivamente politico, direttore del collegio Augustinianum dal 1968 al 1970.
Oggi la Liturgia ricorda la festa della dedicazione della Basilica Lateranense. Il Vangelo ci presenta il brano della samaritana, e su questa pagina biblica vorrei fare alcune considerazioni, con voi, in questa assemblea di “Agostini Semper”.
Padre David Maria Turoldo sosteneva che, se c’era una donna da non incontrare, questa era la samaritana. Ma – come sempre – Gesù sconfina, sovverte ogni regola di buon senso, ogni regola religiosa, rompe ogni schema, scavalca e abbatte ogni barriera di sesso, di nazionalità, di religione, e si mette a parlare con una donna, una donna samaritana con una vita piuttosto “irregolare”. Lo fa con una straordinaria libertà, quella che gli permette incontri meravigliosi.
Sono importanti nella vita gli incontri. Il Collegio è un luogo di incontri. Ciò che siamo lo dobbiamo ai tanti incontri che abbiamo vissuto, alcuni dei quali hanno segnato in profondità la nostra esistenza. Penso all’incontro di Claudel con la Parola di Dio nella Cattedrale di Parigi; all’incontro di Sant’Agostino con Sant’Ambrogio; all’incontro tra di voi, amici di una vita.
Così è capitato alla samaritana, in quell’incontro sconvolgente e coinvolgente con Gesù di Nazareth, che la porta a vivere una nuova nascita. Nella società liquida spesso dimentichiamo questi incontri, ciò è dovuto alla nostra incapacità di collegare la causa con l’effetto. Quante avventure politiche e sociali sono cominciate nel nostro Collegio? Quante amicizie, quante nuove storie che hanno determinato una intera esistenza?
Gli incontri veri iniziano sempre con lo sguardo, uno sguardo comprensivo, non condannante, non aggressivo, uno sguardo che ci mette davanti un cammino, una speranza.
A Gesù non importa che cosa è stata la vita della samaritana, a lui importa ciò che sarà. La samaritana a poco a poco prova lo scarto fra ciò che vive e ciò che sogna, sente di aver avuto molti mariti ma non l’amore, scopre di portare dentro di sé un insaziato bisogno di amore, di comprensione, di tenerezza, di significati profondi. Così in lei si fa strada un’altra sete. Il desidero di un di più, di un oltre. Il desiderio di Dio.
Da qui dobbiamo imparare a leggere i segni dei tempi, a non percorrere la strada diritta e tradizionale per recarsi in Galilea. Anche noi dobbiamo sconfinare verso le periferie esistenziali, a superare i confini tra ortodossi e non ortodossi, tra puro e impuro, tra un monte dell’adorazione e un altro monte antagonista. Dobbiamo imparare la lezione del pozzo di Sicar, e orientarci verso una Chiesa che parla delle cose della vita, una Chiesa che non invade le coscienze, e che fa emergere pazientemente le attese del cuore.
C’è dentro di noi una sete dell’infinito, un desiderio profondo di felicità, di completezza, di perfezione: questa è una caratteristica dell’umano, ma profondamente sentita dagli Agostini di ogni tempo. Dobbiamo orientare la nostra vita verso una sorgente profonda che placa la sete, e che ci dà una dimensione trascendentale. L’uomo porta dentro di sé delle fragilità: la fame, l’ignoranza, la paura, il desiderio di pace.
In questa Eucarestia e su questo altare c’è la presenza di Gesù, l’unico che salva e che redime la nostra vita.
Possa essere questo il nostro cammino di Avvento: noi non siamo soli, c’è una certezza per il futuro: camminare adagio adagio verso quell’ideale di vita che è Gesù.
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