Il 16 aprile 1988 cadeva, barbaramente ucciso dalle Brigate rosse Roberto Ruffilli, studente del Collegio negli anni 1956-1960 e direttore dell’Augustinianum nel biennio 1968-1970; a trent’anni di distanza la sua città natale di Forlì lo ha ricordato, alla presenza del Presidente Mattarella, in una cerimonia cui hanno preso parte alcuni compagni del tempo e di cui è disponibile online sul canale di natlivetv il video con i momenti salienti.
«Con lui fu colpito lo sforzo di ammodernare lo Stato per evitare il distacco dei cittadini dalla politica», come ricorda l’articolo di L. Ornaghi e L. Giannitti sulla Rivista Vita e Pensiero, su cui è possibile trovare anche un ricordo di Enzo Balboni (in download gratuito all’interno dell’Ateneo). Il prof. Balboni ha ricordato Ruffilli anche con un articolo comparso su Il Segno del mese di aprile 2018 (disponibile in PDF insieme a un articolo di Ruffilli in tema di riforme, intitolato “L’alfa e l’omega”).
In Collegio Augustinianum durante l’anno è previsto un incontro di approfondimento sul tema; di seguito il discorso pronunciato durante la cerimonia di commemorazione a Forlì da Pierangelo Schiera, Presidente della Fondazione Ruffilli, un accorato richiamo alle giovani generazioni a «riprendere in mano quel fuoco e provare a ravvivarlo».
A trent’anni di distanza
A trent’anni di distanza: trent’anni sono una generazione. I ragazzi delle Scuole superiori ascoltano cose, di Roberto Ruffilli, che potrebbero non interessarli più per niente. Qualcuno di loro starà giocando col suo apparecchietto, illuso di essere in rete col mondo. Eppure in una generazione sono cambiati – come forse non è mai accaduto nella storia in così breve tempo – i mezzi, ma i fini sono restati quelli di prima. Ruffilli ha avuto il merito di coglierli e fissarli, con grande semplicità, sia come studioso e professore, sia come politico e riformatore.
La parola-chiave è RIFORMA. L’altra parola è SEMPLICITÀ.
Nato a Forlì nel 1937; povero come molti di noi in quegli anni; su sponda cristiana in una città che romagnolosamente ha sempre vissuto con passione i confronti e anche i conflitti culturali e sociali; Roberto trovò nel mitico Oratorio di San Luigi la scuola di vita in cui saldare insieme l’intelligenza e l’amore per gli altri. Allora ciò conduceva spesso i bravi studenti, da tutta Italia, all’Università Cattolica di Milano e in particolare al Collegio Augustinianum, vera e propria pepinière delle classi dirigenti cattoliche. Laureato con un grande Maestro di storia e di scienza politica come Gianfranco Miglio, lo seguì negli studi, formandosi prevalentemente all’Istituto per la Scienza dell’Amministrazione Pubblica di Milano. Fu lì che lo conobbi anch’io, per poi percorrere insieme la carriera accademica: lui prima all’Università di Sassari, poi a Bologna.
Con l’avvento alla Segreteria della Democrazia Cristiana di Ciriaco De Mita, Ruffilli ne divenne consigliere per le riforme istituzionali, finché nel 1983 fu eletto Senatore, in un collegio romano. Era a casa nostra quando gli telefonò Italo Mancino – allora capogruppo dei senatori democristiani – per offrirgli di sedere nella commissione per la scuola e l’università, gli rispose che dell’università ne aveva abbastanza e voleva dare il suo contributo agli affari costituzionali. Seguirono cinque anni intensissimi durante i quali – soprattutto nella Commissione Bozzi 1983-84 – portò avanti la linea duplice della “maggioranza” e dell’“alternanza” come unico modo per ridare al governo la capacità di rispondere ai problemi di una società italiana in crescita. In particolare, ciò che più mi ha colpito, anche rispetto alla sua produzione scientifica, è stata la grande semplicità e chiarezza con cui ha saputo tradurre nella pratica le idee politiche raggiunte negli anni di studio. Al contrario di quanto spesso accade ai professori che diventano politici, la sua azione riformatrice fu più diretta e incisiva del suo pensiero scientifico.
Ci mancò veramente poco perché ce la facesse a creare una base comune per le riforme tra i due campi avversi e per questo fu ucciso. Come Aldo Moro dieci anni prima e, sostanzialmente, per gli stessi motivi. Ma le riforme non vennero più, perché le Brigate Rosse – o chi per loro – avevano spento lo spirito di riforma.
Questo è ciò che resta a una generazione di distanza: cari ragazzi, a voi tocca di riprendere in mano quel fuoco e provare a ravvivarlo, badando al vento naturalmente: da che parte tira e verso dove spinge. Perché i vostri sogni-bisogni non sono certamente più quelli di trenta o quarant’anni fa, ma la necessità della RIFORMA è oggi ancora più viva e si può coniugare, in estrema semplicità, solo in termini di PLURALISMO.